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PERCHÉ SÌ / Giuseppe Berta, storico dell'industria. Una scelta di realpolitik seguita da tutti i paesi

di Franco Vergnano

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4 ottobre 2009

La "ratio" degli aiuti non va ricercata nell'economia. È legata a motivi sociali. Si tratta di realpolitik, di scelte che hanno un grande pragmatismo politico nel contesto europeo. Queste le principali motivazioni che sostengono il rinnovo degli incentivi alle automobili secondo Giuseppe Berta, direttore del Centro Enter Bocconi per la Ricerca sull'imprenditorialità.

Perché rinnovare gli aiuti all'auto?
Ogni volta che si affronta il tema si apre il dibattito. Nella mentalità collettiva tende ad esserci un'equivalenza tra grande industria e settore auto.

D'accordo. Detto questo, intende sostenere la tesi che la grande industria viene trattata con i guanti bianchi?
È chiaro che c'è un occhio di riguardo per i big. Per ovvi motivi si è portati a prestare più attenzione al settore dell'auto.

Con quali risultati?
Gli incentivi sono un second best. C'è l'orientamento a elargirli per almeno un paio di motivi. Se li concedono gli altri paesi, non possiamo non farli anche noi.

Perché seguire la strategia "me too"?
Non c'è stata una politica Ue di sostegno all'industria automobilistica.

Con quali conseguenze?
Che gli aiuti sono diventati una specie di scelta obbligata, anche se non ottimale.

Si spieghi meglio.
Nel mondo, ed è la seconda ragione, c'è una sovracapacità manifatturiera automobilistica di un terzo rispetto al mercato.

È l'ora di guardare in faccia la realtà?
In sede europea non si è trovato il coraggio di affrontare il tema. Non abbiamo cioè avuto i finanziamenti Ue per riconvertire e riposizionare l'auto. Di conseguenza si è ripiegato, se vogliamo con poco coraggio, sugli incentivi dal momento che non ci sono trovati i fondi per riequilibrare la situazione. Il sì agli aiuti è in sostanza un passo obbligato in risposta all'inadeguatezza di Bruxelles.

La politica dello struzzo non paga?
Nessun governo si è misurato con il necessario ridimensionamento della presenza di sei fabbriche Fiat italiane che producono poco più di 600mila pezzi. Non si è presa in considerazione la riconversione di siti da tempo poco competitivi con gli standard mondiali. È un nodo che, prima o poi, verrà al pettine. Non si può continuare all'infinito con incentivi che per la Fiat rappresentano un vantaggio di sistema e non un aiuto finalizzato alla produzione di quei modelli che il mercato oggi richiede. A fronte del mantenimento di alcuni vincoli produttivi si danno aiuti di mercato, soprattutto per motivi politici e sociali.

Secondo lei siamo caduti in una classica trappola economica?
È un cane che si morde la cosa. Siamo finiti in un circolo vizioso dal quale sarà difficilissimo uscire.

4 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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